Come comunicare efficacemente alimentazione e GDO

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Intervista a Luigi Rubinelli su Comunicazione, alimentazione, GDO
di Anna Fata

Oggi più che mai siamo bombardati da messaggi più o meno diretti ed espliciti di acquisto. Questo
vale in tutti i settori e ancora più in quello alimentare. Il cibo rappresenta sempre più un fattore
non solo legato alla sopravvivenza, ma anche e soprattutto un veicolo simbolico, affettivo, sociale,
identitario di un’epoca, uno status, una collocazione geografica, un’occasione speciale.

Il giro d’affari che ruota intorno al cibo e al settore alimentare è in costante crescita, pur con
qualche rallentamento dovuto a congiunture economiche sfavorevoli, ma non perde mai il suo
fascino agli occhi dei consumatori che ne traggono non solo sostentamento materiale, ma anche e
soprattutto conforto emotivo, scambio sociale, culturale, stimolo intellettuale, e tutti i valori
simbolici interiori e di tradizione che ciascun popolo, nazione e singolo individuo vi possono
attribuire.

Il cibo, quindi, per certi versi non è destinato a passare mai “di moda” né mai, forse, sarà
considerato tale.

In questa che a volte è una vera e propria guerra di accaparramento e fascinazione fino all’ultimo
cliente alcune aziende non si risparmiano dei colpi bassi, a volte anche ai limiti della legalità, nel
comunicare la bontà, la salubrità, l’innovatività, l’esclusività, il pregio o la convenienza dei loro
prodotti o servizi legati al cibo.

Cosa comporta tutto ciò per il consumatore finale? Come difendersene? Come diventare
consumatori consapevoli e responsabili? Quale è il ruolo di una corretta informazione e
promozione del cibo da parte delle aziende?

Di questo e molto altro abbiamo discusso con Luigi Rubinelli, Giornalista, già direttore responsabile di RetailWatch.it, Mark-up, GdoWeek, Largo Consumo, Direttore marketing del gruppo A&OSelex, Consulente di GPF&Associati di Giampaolo Fabris, è stato Professore di marketing dei sistemi distributivi all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Autore di: “La strategia retail nella moda e nel lusso”, “Retail di marca”, “MB: un’avventura non comune”, “Layout: i 50 negozi che
sopravvivranno all’online”, “La comunicazione d’impresa di GP Fabris (capitolo sul retail)” e “Hard
Discount”. 

 

Intervista a Luigi Rubinelli: Tra cibo, alimentazione e GDO 

D: Se e quali peculiarità può avere, secondo lei, la comunicazione nel settore della alimentazione e tutti i prodotti e servizi che vi ruotano attorno?

R: Siamo in un periodo eccezionale, mai successo, ma i driver che stanno governando questo
momento si intravvedevano già nel 2018 e 2019: responsabilità, etica, trasparenza, sostenibilità.

Negli ultimi tempi sono esplosi e si cominciano a vedere i risultati: una piccola parte che li
perseguiva e li persegue e la maggioranza che non capisce bene le direzioni che stanno prendendo
i cittadini-consumatori. È il cliente-cittadino che sta dettando la nuova comunicazione con esigenze precise e mirate. Non capirlo aumenta il ritardo verso di essi e verso i concorrenti.

D: Quali sono, a suo avviso, le norme di base che una comunicazione corretta, etica ed efficace sul fronte alimentare dovrebbe rispettare?

R: Come dicevo etica e trasparenza. Ognuno di noi è sommerso da messaggi di tutti i tipi, vecchi e
nuovi. Quelli vecchi, tradizionali, tendevano ad omettere. Quelli nuovi vogliono semplificare,
comunicare poco e in modo esauriente, sia a livello corporate sia a livello di prodotto.

L’etichetta è un importante cartina di tornasole. Basta guardarla, anche distrattamente, per capire se contiene
etica e trasparenza.

D: Nello specifico, una menzione a parte merita la libertà dell’informazione che spesso tenta di essere monopolizzata, distorta, pilotata dalle grandi realtà aziendali che in alcuni casi forniscono ampi fondi importanti per la sussistenza stessa dei mezzi di comunicazione. Quali indicazioni potrebbe suggerire per poter calibrare la libertà e l’etica della informazione con i requisiti economici che questo processo comporta?

R: Domanda complicata. Le grandi multinazionali lavorano tanto sulle strategie e nelle lobby,
europee e nazionali. Non si vede bene cosa questo vuol dire. Certamente si vedono i risultati, ad
esempio sulle etichette semaforo. È un loro diritto, il diritto del libero mercato farlo. Sta alle
organizzazioni consumeriste dipanare la matassa. Qualcuno lo fa: Il Salvagente e Il Fatto
Alimentare, basta abbonarsi alla newsletter.

I mezzi di comunicazione sono sempre stati sostentati dalle industrie, multinazionali e nazionali. Per essere più liberi ed etici dovrebbero cambiare il modello di business e, ad esempio, far pagare gli abbonamenti più che vivere di pubblicità. In questo modo sarebbero meno dipendenti e più liberi di redarre informazioni esaurienti e veritiere. Ma siamo lontani, ahimè, da questo passaggio, sia nella carta stampata sia su internet.

 

D: Oggi più che mai i consumatori ricercano, si informano, si documentano prima di effettuare delle scelte di acquisto. Quali possono essere, secondo lei, i modi, i tempi, gli strumenti, i contesti più affidabili per effettuare questo?

R: Esistono ormai talmente tanti di quei mezzi per fare scelte di acquisto, convenienti e responsabili, che non riescono a contare. Stai cercando il prezzo? Vai sugli sfogliatori di volantini e hai a disposizione i negozi nella tua zona che hanno le offerte migliori. Vuoi sapere il prezzo della benzina meno cara nella tua zona? Vai su Viamichelin.it e sai dove andare a fare il pieno.

Certo ci sono anche tante fake news, ma le persone con un bagaglio storico di ricerca sanno dove andare senza lasciarsi incantare dalla pubblicità di vecchio conio.

 

D: Nello specifico, ci offrirebbe qualche semplice regola di base per smascherare le notizie false, distorte, iperboliche, le cosiddette “fake news” in modo che il consumatore possa essere sempre più consapevole e tutelato?

R: I gruppi di conversazione sui social, in primis, anche se contaminati. Quelli chiusi sono una fonte di informazione straordinaria, dove le persone si firmano con nome e cognome e non con
pseudonimi.

Teoricamente ogni notizia andrebbe verificata ma non abbiamo tempo, ci fidiamo
sempre di qualcuno e ci dimentichiamo nel tempo del produttore di fake, che, nel frattempo ha
cambiato nome. Il confronto con la notizia dovrebbe sempre avvenire, soprattutto se parla di
consumi e di acquisti.

 

D: Nel caso in cui un consumatore avesse dei dubbi circa la correttezza di un messaggio pubblicitario o se, al limite, subisse una vera e propria truffa che coinvolge la comunicazione legata alla sfera alimentare come dovrebbe comportarsi per vedere rivendicati e rispettati, e magari anche risarciti, i propri diritti?

R: Ci sono alcune organizzazioni consumeriste che assolvono il loro ruolo egregiamente. Poi ci sono alcune istituzioni, come l’Agcm (l’autorità garante della concorrenza) o il Giurì di autodisciplina
pubblicitaria ai quali rivolgersi. E poi ci sono alcuni giornali, come dicevamo all’inizio che
continuano a denunciare certi atteggiamenti come IlSalvagente o IlFattoAalimentare.

 

D: La comunicazione per ciascuna azienda, compresa quella alimentare, non è solo finalizzata alla informazione, ma, in ultima analisi alla vendita, all’incremento del fatturato, della clientela, delle quote di mercato e tutto ciò che ruota intorno al business. Che consigli potrebbe fornire ai responsabili aziendali per conciliare l’etica della comunicazione, il valore aggiunto che questa potrebbe offrire al cliente con anche gli obiettivi di crescita economica che un’impresa sana per definizione deve poter perseguire?

R: Se si usa etica e trasparenza l’aumento di fatturato nel lungo periodo è garantito ed è una
fortuna per quei dirigenti.

In alcuni casi queste aziende aprono alle visite degli stabilimenti o hanno
chat in cui sono gli stessi dirigenti a rispondere. Non è un caso dell’alimentare, ma Patagonia, brand
di abbigliamento tecnico sportivo, in alcuni periodi ha installato telecamere nelle fabbriche dove
faceva produrre, permettendo così a chiunque di vedere i cicli di produzione. Un esperimento che
si può replicare facilmente, privacy inclusa. Se la fabbrica è trasparente, lo saranno anche i prodotti
e le strategie dell’azienda.

 

D: Un capitolo e una menzione particolare meritano la comunicazione nei punti vendita fisici che restano ancora un baluardo di riferimento importante, nonostante l’avanzare impetuoso del commercio online. Come dovrebbe essere strutturata una comunicazione efficace nella Grande Distribuzione Organizzata in modo da rendere piacevole, confortevole, coinvolgente l’esperienza di acquisto per i clienti, permettere il raggiungimento dei fatturati necessari alla sopravvivenza aziendale, ma senza ledere però la capacità di discriminare, valutare, scegliere, acquistare prodotti
e servizi alimentari in piena libertà, autonomia, indipendenza, etica delle persone?

R: Nelle reti fisiche siamo in ritardo a questo proposito. I retailer sono di fatto dei
commercializzatori di brand-prodotti non loro, tranne Esselunga che è prima di tutto un produttore
e poi un esercente commerciale.

Ci sono casi di vendite sottocosto eclatanti (Finiper e Eurospin)che non portano nella direzione dal lei indicata. Eurospin continua addirittura a praticare le aste al ribasso, riducendo al lumicino i guadagni dei produttori. I primi a dover insorgere dovrebbero essere gli stessi produttori e poi le catene della GDO.

Il commercio in sede fissa ha parecchi problemi perché nel tempo non si è specializzato e si è crogiuolato nel suo ruolo di rivenditore che affittava spazi (i lineari di vendita) al miglior offerente.

Poi è arrivato Amazon e altri attori che hanno fatto capire che la disponibilità del prodotto deve essere immediata (o quasi). Amazon ha appena introdotto a Milano e Roma, Amazon Fresh.

L’assortimento è ampio e profondo, è abbastanza facile trovare il prodotto che può essere consegnato a domicilio o nei locker per un successivo ritiro. La facilità di ricerca, la facilità di acquisto e di consegna (con varie modalità) sono i nuovi passaggi obbligati. Dove c’è un bilancio sano c’è libertà, autonomia, indipendenza, etica.

Dove il bilancio dipende dagli sconti e dai contributi dei fornitori ci sono molte volte
fraintendimenti e comportamenti dubbiosi.

 

D: Come pensa che evolveranno nel prossimo futuro e cosa possono fare le aziende per prepararsi alle mutate esigenze sociali, individuali, storiche, economiche, politiche, culturali che ogni forma di comunicazione comporta?

R: Lo ripeto, ci sono due percorsi da imboccare: etica e trasparenza.

Le aziende e i punti di vendita devono diventare dei media che prendono posizione, devono fare politica, devono dire alcune volte di no a prodotti camuffati e che fanno male alla salute.

Devono cioè scegliere. Dal saper scegliere deriva un modo di comunicazione diverso, più sociale, più attento ai bisogni e ai diritti delle persone. C’è un’insegna in Olanda, Albert Heijn, che ha fatto di questo un mantra, con ottimi risultati.

 

D: Lei è stato Direttore e in alcuni casi anche Fondatore di molteplici importanti realtà editoriali come ad esempio RetailWatch. Quale bilancio potrebbe trarre da tale esperienza e se e come ha forgiato la sua modalità di fare comunicazione tra marketing, consumi, Grande Distribuzione?

R: Mamma mia che domanda. Dopo l’esperienza di MarkUp e del Sole24Ore sono diventato più
critico, forte dell’esperienza acquisita. Mi sono permesso di esprimere giudizi che prima non avrei
formulato, ma con RetailWatch ho cambiato modello di business e non dipendevo più dalla
pubblicità.

Lo facevo anche a Mark Up, soprattutto nei primi anni, gli contri con l’editore erano
continui, abbiamo perso clienti e fatturati importanti, ma alla lunga la linea della trasparenza e
dell’etica giornalistica mi hanno dato ragione, come lo ha fatto anche Giuseppe Dilettoso, l’editore
di allora, che aveva uno sguardo di lungo periodo.

 

D: Per concludere, se un giovane volesse lavorare nell’ambito della comunicazione legata alla sfera alimentare e alla Grande Distribuzione, che suggerimenti potrebbe offrire per formarsi, fare esperienza, affacciarsi con le dovute competenze in tale settore?

R: Deve specializzarsi, magari all’estero, leggere tanto e vedere molti negozi e catene e siti internet
dove le strategie delle aziende si vedono molto bene.

Anni fa Bernardo Caprotti, proprietario di Esselunga, mi voleva assumere. La precondizione era che avrei dovuto fare il magazziniere e muovere i pallet per un anno, per capire nel profondo l’azienda. Ho accettato, ma poi non mi assunse (per altri motivi), sarebbe stata una esperienza straordinaria. Peccato.

Il mio suggerimento è:

“sporcarsi le mani e studiare e non essere mai contenti”.

 

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