Quando le informazioni nutrizionali condizionano le nostre spese
di Anna Fata
Da alcuni anni ormai la stragrande parte dei nostri alimenti è contraddistinta da etichette con abbondanti informazioni nutrizionali sui loro componenti. Di recente l’Unione Europea ha bocciato la tanto discussa “etichetta a semaforo” che in modo semplice e forse fin troppo sbrigativo si proponeva di suddividere con un veloce colpo d’occhio i cosiddetti alimenti buoni da quelli cattivi.
Ne sarebbero emerse gravi e pericolose incoerenze, non solo a svantaggio delle aziende produttrici, ma anche e soprattutto per la salute dei consumatori. Ad esempio, lo stesso olio di oliva, tanto decantato nella Dieta Mediterranea, già Patrimonio dell’Umanità secondo l’UNESCO, avrebbe avuto il suo semaforo rosso, a causa della quasi totale presenza di grassi nella sua composizione.
Quanto, in realtà, però noi leggiamo le etichette degli alimenti prima di acquistarli? Quanto, nel caso, esse sono veramente in grado di influenzare i nostri acquisti e consumi?
Cosa contengono le etichette
Uno dei principi nutritivi intorno ai quali si è incentrato maggiormente il dibattito nel tempo riguarda gli zuccheri. Secondo la Food and Drug Administration (FDA) si deve distinguere con cura nelle etichette la quantità di zucchero aggiunto da quello già naturalmente presente nel cibo stesso, nonché la quantità giornaliera raccomanda di assunzione e in che percentuale tale alimento la soddisfa.
Altre informazioni imprescindibili sulle etichette attualmente sembrano essere le calorie e la porzione raccomandata del cibo in oggetto. Essa dovrebbe essere realistica, e non ideale, cioè ad esempio non minuscola come in alcuni casi sembra che venga suggerito: ad esempio, una porzione di gelato in vaschetta potrebbe andare da mezza tazza a tre quarti, ma mezza, verosimilmente, per un adulto medio sarebbe poco.
Secondo Susan Mayne, direttrice del Center for Food Safety and Applied Nutrition presso la FDA le etichette idealmente non dovrebbero prescrivere ai consumatori cosa mangiare, ma dovrebbero offrire loro gli strumenti idonei per effettuare delle scelte consapevoli e sane per se stessi e per la loro famiglia.
Cosa leggiamo (e capiamo) delle etichette
Quando i consumatori si trovano di fronte alle etichette nutrizionali spesso sorgono dei problemi:
1. La maggior parte degli acquirenti non legge con attenzione le etichette:
Anche se da più parti veniamo esortati a leggere le etichette con cura, in realtà la maggior parte di noi non lo fa, tende a scegliere con scarsa consapevolezza, sulla base della fiducia al marchio, per la piacevolezza del packaging, in base alla curiosità per la novità, oppure per abitudine.
Questo fa sì che molti di noi non sanno cosa vi sia scritto nelle informazioni nutrizionali o ne sono a conoscenza solo in minima parte. Per rendersi conto concretamente di questo ci può provare a ricordare quello che c’è scritto sugli alimenti che più di frequente acquistiamo e verificare quanto e con che grado di correttezza lo ricordiamo.
Inoltre, esiste un grande divario tra come pensiamo di utilizzare le informazioni nutrizionali e come di fatto ce ne avvaliamo. Una ricerca condotta da Dan Graham e Robert Jeffery ha simulato in laboratorio una tipica situazione di acquisto. In tale simulazione il 33% delle persone ha dichiarato di controllare sempre le calorie contenute nei cibi. In realtà si è constatato, tramite la tecnologia del tracciamento oculare, che solo il 9% delle persone lo fa effettivamente. Un numero ancora più basso di persona ha dimostrato di controllare la quantità di grassi e di zuccheri presenti.
Quando tendiamo a effettuare acquisti per abitudine, il cambiamento delle etichette nutrizionali pare che impatti sono minimamente sulle scelte di acquisto. Pertanto, poiché la maggior parte dei consumatori non guarda con attenzione e completezza le etichette nutrizionali, anche la loro modifica o miglioramento non sembrano avere effetti rilevanti sulle scelte di acquisto e consumo.
2. Leggere le etichette non sempre conduce a scelte corrette:
Sembra che anche aggiungere informazioni ulteriori o più dettagliate sulle etichette nutrizionali non assicuri che il consumatore effetti la scelta più salutare.
La psicologia dei consumi ci indica che spesso giungiamo a conclusioni scorrette quando leggiamo le etichette. Anzi, pare che quante più informazioni ci sono sulle etichette, tanto più la probabilità di errore aumenta.
Ad esempio, una ricerca elaborata da Brian Wansink e Pierre Chandon quando sui cibi si trova scritto “A basso contenuto di grassi” si crea nella mente dei consumatori una sorta di idea perversa relativa a quello che si sta per mangiare, alla sua quantità e a quanto possa essere salutare. Nello specifico i ricercatori hanno verificato che, se sulla confezione dei famosi cioccolatini M&M’s è riportata la dicitura “A basso contenuto di grassi”, le persone tendono mediamente a mangiarne il 28,4% in più rispetto alla versione tradizionale.
Questo comportamento pare che si verifichi perché si crede erroneamente che la riduzione del tenore di grassi vada di pari passo con un concomitante declino del numero delle calorie, per questo ci si sente meno in colpa in merito a quanto se ne possa mangiare.
In un’altra situazione sperimentale, invece, quando la confezione riporta informazioni più lunghe e dettagliate si crea un sovraccarico informativo a cui le persone non prestano attenzione, in quanto ritengono di non sapere cosa farsene al fine della eventuale decisione finale di acquisto o meno.
3. Le persone non acquistano solo una confezione di cibo
In genere la decisione di acquisto di un cibo è in grado di influenzare le successive. Anche se può capitare di leggere interamente le etichette e di interpretarle correttamente questo non significa necessariamente che il carrello della spesa verrà riempito solo con cibi salubri.
Poiché le decisioni di acquisto si influenzano l’una con l’altra, si è notato che se una persona effettua una scelta salutare è probabile che la successiva lo sia meno o non lo sia affatto, ma che comunque sia gradevole al palato. Questa modalità di scelta si definisce “bilanciamento”.
Ad esempio, dopo aver messo nel carrello una confezione di formaggio a ridotto contenuto di grassi e di sodio, ci si può sentire sufficientemente virtuosi da concedersi la licenza di accompagnarlo da un lauto pacchetto di patatine fritte della propria marca preferita che di dietetico e salubre possono avere ben poco.
Queste dinamiche psicologiche vanno ben oltre la concretezza e l’obiettività delle informazioni nutrizionali di un prodotto e occorre tenerne debitamente conto quando si desiderano creare programmi di nutrizione sana e bilanciata.
Come dovrebbe essere l’etichetta perfetta
Dalle ricerche finora citate si evidenzia la presenza di dinamiche cognitive e psicologiche che vanno ben oltre l’oggettività delle etichette nutrizionali che, in realtà, molto di noi neppure leggono e anche meno comprendono.
Cambiare le etichette nutrizionali non sembra sufficiente per aumentare la consapevolezza delle scelte dei consumatori. Con ampia probabilità, invece, scrivere informazioni più chiare ed essenziali, soprattutto in un mercato altamente competitivo, può determinare la differenza nell’orientare alcuni acquisti. Le persone, in tali casi, possono cambiare alcuni comportamenti, anche se non necessariamente si rendono conto delle reali motivazioni che le stanno motivando.
Ad esempio, sapere che le note bibite a base di cola possono contenere fino a 65 grammi di zucchero aggiunto, che rappresenta il 130% della dose giornaliera raccomandata, le etichette parlano da sole.
Quando, invece, nel 2006 è scoppiato l’allarme dei cibi ricchi di grassi trans, Jeff Niederdeppe e Dominick Frosch hanno notato che le abitudini di consumo sono cambiate più per la comunicazione che ne hanno fatto i media, che non per la lettura delle etichette e per una reale consapevolezza dei consumatori dei rischi che potevano comportare.
L’etichetta perfetta, ammesso che possa veramente esistere in futuro, dovrebbe non solo essere semplice, essenziale, comprensibile, ma andare di pari passo con la comprensione e delle dinamiche psicologiche e cognitive che sottostanno all’intero processo di scelta, acquisto e consumo degli alimenti e dei contesti in cui tutto questo avviene.