Intervista a Assunta Corbo
di Anna Fata
La comunicazione è pressoché ovunque, oggi più che mai. Non è solo linguaggio, ma quest’ultimo rappresenta una parte, sicuramente importante, di essa, ma non sempre presente, né essenziale. Siamo letteralmente immersi in diverse forme di comunicazione, noi stessi, con la nostra presenza fisica, o, al limite, con la nostra assenza, trasmettiamo stiamo comunicando qualcosa.
Quello che può fare la differenza sono la consapevolezza e l’intenzionalità dei messaggi che trasmettiamo. All’estremo, possiamo anche affermare che una ampia parte della nostra comunicazione si verifica su un piano inconscio e del quale siamo chiamati ad offrire una interpretazione simbolica.
Cos’è la comunicazione? Cosa significa comunicare? Come le diverse modalità di comunicazione possono influire sulla nostra visione del mondo, la qualità del vivere e del lavorare? Come si inserisce la pratica dell’ascolto nell’ampio e complesso percorso comunicativo?
La comunicazione è prima di tutto un processo, una forma di relazione tra noi, gli altri, il mondo, gli strumenti e i canali di cui ci avvaliamo, i contenuti che trasmettiamo.
E’ un modo per conoscere e per farci conoscere, per essere riconosciuti nella nostra presenza e umanità, per entrare in contatto e stabilire dei legami. In quanto animale sociale ogni essere umano necessita di relazioni ai fini della sopravvivenza e del suo benessere psicofisico. Non a caso essa inizia ben prima ancora della nostra nascita nel mondo.
Essa si declina in diversi modi, tempi, contesti, pubblico, privato, familiare, sociale, scolastico, professionale, aziendale. Ogni contesto, finalità, scopo ha i suoi modi peculiari, strumenti, registri. I modi in cui li sappiamo padroneggiare e utilizzare contribuiscono a definire noi stessi, i nostri valori, i nostri principi che a loro volta forgiano la comunicazione stessa.
Di tutto questo e molto altro parliamo con Assunta Corbo, Giornalista, Fondatrice di Constructive Network, Giornalista, Autrice di “Dire, Fare…Ringraziare”, “Empatia Digitale”, LEDE Fellow per Solutions Journalism Network.
Intervista a Assunta Corbo: Comunicare bene per vivere meglio
D: Nella sua accezione, che definizione potrebbe dare del termine “comunicazione”?
R: Comunicare è procedere assieme. Lo dice l’etimologia stessa della parola: “mettere in comune”.
Mi piace legare la comunicazione all’idea di un viaggio fatto insieme: attraverso le parole, le attitudini, i gesti. E oggi tutto questo è amplificato: siamo tutti comunicatori, lo siamo sempre stati in quanto esseri umani. Ma se prima si definivano comunicatori coloro che lavoravano in ambito comunicazione e giornalismo, ora possiamo ritenerci tali tutti. Perché nel momento stesso in cui accediamo a un social media e pubblichiamo una foto, scriviamo un post o un commento, scegliamo di reagire a un contenuto altrui stiamo comunicando.
E non possiamo più permetterci, a mio avviso, di essere superficiali e cinici nel farlo.
D: Quali sono, a suo avviso, le doti che più caratterizzano un buon comunicatore?
R: La sua capacità empatica. Sapersi mettere nei panni di chi riceve la nostra comunicazione è importante per rendere efficace il nostro messaggio.
L’empatia, poi, porta con sé una serie di valori umani fondamentali per una buona comunicazione: umiltà, responsabilità, autenticità, utilità, gratitudine, inclusione, umanità. Se ci connettiamo a questi valori diventiamo comunicatori migliori.
D: Come fare per diventare un bravo comunicatore?
R: Occorre conoscere bene il proprio lettore/ascoltatore.
Questo significa immaginarlo seduto accanto a noi mentre produciamo il nostro contenuto: è un modo incredibilmente potente per ricordare di cosa ha bisogno lui, quali domande costellano la sua mente, quali soluzioni sta cercando.
Ecco, le soluzioni: diamo valore alla cultura del come. Abbiamo tutti la necessità di trovare risposte e di comprendere la complessità del mondo. Un buon comunicatore non se lo dimentica.
D: Nel complesso processo della comunicazione, spesso si pone l’accento su due aspetti che talvolta si collocano, forse impropriamente, a due estremi in parte contrapposti: l’ascolto e l’uso del linguaggio. Se e come si possono bilanciare questi due aspetti all’interno di una comunicazione efficace e rispettosa di se stessi e degli altri?
R: Ascoltare e prestare attenzione alle parole sono due scelte consapevoli e fondamentali nella comunicazione.
Una comunicazione rispettosa per tutti non può prescindere da queste due scelte: si ascolta per comprendere, si scelgono le parole per comunicare in modo empatico.
Le parole sono di tutti, il contenuto è molto personale. E un buon contenuto – verbale o scritto – parte dall’ascolto e dalla capacità di comprendere le persone con cui stiamo comunicando.
Il tutto sempre nell’ottica dell’autenticità che sembra essere un valore a cui stiamo tornando. Abbiamo bisogno di essere noi stessi per poter portare un contributo comunicativo al mondo.
D: La comunicazione entra a pieno titolo in ogni nostro contesto di vita, in quanto tale può avere delle peculiarità che sono differenti a seconda di luoghi, tempi, scopi, canali, strumenti, attori coinvolti. Nello specifico, secondo lei come si caratterizzano in modo particolare la comunicazione più ordinaria, tipica della vita quotidiana informale, e quella invece più connessa al mondo del lavoro?
R: La comunicazione ordinaria ci rende spesso più autentici e istintivi dove la comunicazione formale ci chiede di essere più attenti. Così è stato fino a oggi. Ma sono convinta che sia in atto un cambiamento importante che porta l’una a contaminare l’altra.
La comunicazione ordinaria porta in dono a quella formale l’autenticità e i valori umani con cui facciamo scelte nella nostra vita. La comunicazione formale, invece, ci spinge a prestare maggiore attenzione alle parole scelte anche nella nostra quotidianità.
D: Comunicare per vendere. Oggi in mercati sempre più competitivi, affollati, veloci, sembra che molte aziende e brand, ma anche professionisti, cerchino di sgomitare, urlare, stupire, attirare l’attenzione al fine ultimo di affermare la propria immagine e vendere i propri prodotti e servizi. Se e come la comunicazione in questo frangente può avere un ruolo realmente utile ed etico, sia per le aziende, sia per i clienti finali?
R: Unicità, credo sia questo il punto. Piuttosto che urlare cominciamo a sussurrare, ma a farlo in un modo unico, che appartiene solo a noi.
Vince chi sa offrire risposte e sa farlo rispettando la propria platea: che sia virtuale o fisica composta da una persona o un milione.
Il senso è essere meno spinti sulla vendita e più sul valore che si offre alle persone. La vendita è una conseguenza di una comunicazione onesta ed empatica.
D: La comunicazione è parte intrinseca dell’essere umano, non solo dalla nascita in poi, ma anche verosimilmente durante la gestazione. Per tali motivi risulta fondamentale esserne consapevoli e farne buon uso anche al fine di poter migliorare la nostra qualità della vita. Ci potrebbe suggerire qualche pratica concreta per migliorare le nostre capacità comunicative e vivere più sereni con noi stessi e con gli altri?
R: Ricordarsi che siamo persone e che comunichiamo alle persone. Sia quando lo facciamo virtualmente che in presenza. Questo significa attenzione e cura verso gli altri e verso la propria unicità.
All’atto pratico significa essere meno frettolosi, anche quando si invia una mail: qualcuno la legge, la interpreta, ne accoglie l’effetto. Penso sempre al domino: la prima pedina che cade è il nostro atto comunicativo, le altre pedine sono gli effetti che questo produce sulle persone. E inevitabilmente questi effetti poi tornano a noi.
Ringraziare di più ci aiuta a smettere di dare per scontato il lavoro altrui, penso soprattutto ai team di lavoro. Essere meno ego riferiti e parlare di più alle persone e delle persone è importante nella comunicazione social.
Chiediamoci se stiamo solo dicendo che siamo bravi o se stiamo portando valore – informazioni, saperi, nozioni – a chi intercetta il nostro contenuto. Togliamo l’io e mettiamo il tu.
D: Parliamo in modo ancora più specifico dei mass media e del giornalismo. Oggi le fonti di informazione sono sempre più molteplici, disparate e spesso diventa anche difficile discriminare tra autorevolezza, veridicità, sensazionalismo, spirito scandalistico, con tutte le emozioni, più o meno positive e negative che questi registri possono suscitare. Se e in che modo il Giornalismo Costruttivo di cui lei è fondatrice e portavoce può aiutarci a informarci meglio e mantenere un sano equilibrio interiore, nonostante i fatti del mondo non siano sempre dei più positivi?
R: Il giornalismo costruttivo è un approccio giornalistico che torna all’essenza della professione: informazione come servizio pubblico.
È un modo di raccontare i fatti che parte dal problema, lo contestualizza e poi ne narra le possibili soluzioni. Non è un rifiuto dei problemi ma è un’attenzione maggiore alle soluzioni. Perché se sui problemi che affliggono la società e le comunità siamo preparatissimi sulle soluzioni lo siamo meno. E questo ci porta a un senso di impotenza che fa male al genere umano.
Non abbiamo bisogno di buone notizie, ma di notizie che ci aiutino a comprendere la complessità del mondo in cui viviamo. In questo modo possiamo sentirci parte della soluzione e non del problema e possiamo certamente recuperare quella fiducia costruttiva di cui abbiamo bisogno per procedere.
D: Per concludere secondo lei come è cambiata la comunicazione nell’ultimo secolo, come evolverà in futuro e soprattutto se e cosa possiamo fare per prepararci al meglio ad essa?
R: La comunicazione è in continua evoluzione. Noi esseri umani sappiamo portare allo stremo le grandi potenzialità della comunicazione, fino a trasformarle in un difetto.
Ci siamo sentiti liberi e poi abbiamo sporcato questa libertà spingendo così tanto da perdere autenticità, rispetto, capacità di ascolto. Siamo arrivati a un punto in cui abbiamo cominciato a vedere tutto in funzione di noi stessi e di quello che sappiamo fare.
Nell’ultimo anno in particolare si è messo l’acceleratore su una nuova modalità comunicativa: più empatica, rispettosa, valoriale. Ed è questo il futuro che ci aspetta: stiamo tornando a essere umani.
Come prepararci? Ritrovando la connessione con il nostro perché più profondo ricordandoci che siamo persone prima ancora di indossare qualsiasi etichetta sociale o professionale. È tutto molto semplice, che non significa facile.